Te li tiro fuori io i sentimenti!

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Ho imparato a prenderle che ero bambino, per tutto, per ogni cosa, che fosse sbagliata ed io ero cattivo, che fosse giusta ed allora era il mio dovere.

Ho imparato che ero bambino che volavano più zoccole di legno in Italia che boomerang in Australia, ma erano botte amorevoli, date da madri che non ce ne sono più, o forse ce ne sono poche, perché se io sbagliavo lei ci rimetteva la reputazione.

Ho imparato da bambino che dovevo sempre indossare un prêt-à-porter dignitoso e profumato, perché se fosse successa una disgrazia, una volta in ospedale avrei avuta salva almeno la mia dignità. Ma le calze coi buchi si rammendavano.

Ho imparato da bambino che tutto stava nel ciò che gli altri pensavano di me, in ciò che sarei stato in grado di far percepire a coloro i quali mi sarei rivolto, perché gli angeli oggi ormai volati in cielo, venivano dalla fame, dalla fame vera, quella fame su cui si rideva anche e che non dimentichi più, ma che si voleva far vedere al piccolo mondo che ci circondava, che era passata per sempre.

Ed allora il “cosa diranno di me” non era segno di odierna frustrazione da ansia di prestazione scadente, bensì l’attesa di un giudizio che garantiva l’appartenenza a quel gruppo enorme di brave persone che avevano deciso che mai più sarebbero cadute negli errori famelici del passato, persone che ostentavano il poco, persone che dividevano il pochissimo, ma con una dignità incredibile e con la totale consapevolezza del valore di ogni cosa avessero tra le mani, fosse anche solo uno sgabello di legno su cui sedersi in strada con gli amici la sera.

Così si mangiava in un certo modo solo quando era festa, i prodotti si riparavano perché era peccato buttarli, ed ogni novità dava soddisfazione, era un traguardo raggiunto con orgoglio. La prima  macchinetta che significava libertà, la televisione da vedere in compagnia, la Nutella sul pane a cui aggiungere il burro, Carosello e il boom da morire di felicità.

Ho imparato da bambino a leggere i sentimenti delle persone, ho imparato da bambino a stare vicino a chi ha bisogno e che 1+1 fa due, perché da bambino si stava con gli altri, tutti o nessuno, chiusi in cortili aperti, con quella cattiveria e voglia di vincere ogni partita sui campi di terra e di sassi, che oggi nessuno di noi si è dimenticato e si porta dentro come la bandiera della squadra preferita.

Ho imparato da bambino che c’erano i maschi e le femmine, che se vuoi, puoi, che non c’entra che lavoro faceva tuo padre, ma solo che cosa sognavi di diventare anche tu, mentre l’Italia vinceva i mondiali, la maglietta doveva essere bianca e la bicicletta rosa quando la sera raggiungevi gli amici sulla panchina là in fondo.

Ho imparato a lottare con chi era più grande, ho imparato a telefonare agli amori a cui la cornetta la passava il padre che rispondeva con quel “PRONTO” terrificante, ho imparato a lavorare di giorno e studiare di notte, a conservare quintali di carta, a sfogliare quintali di carta, anche solo per vedere a che ora prendere un treno, a mettere le marce senza sfollare, a rispondere educatamente ed a rispettare gli adulti e le autorità.

Insomma è andata così, ed oggi che vedo i volti degli angeli volati via, sulla lapide che porta il mio cognome, mi ricordo ogni singola emozione e mi rendo conto che il mio ruolo su questa terra sia solo quello di tramandare la dolcezza umana di un tempo, magari insegnando a quelle madri che oggi non hanno protetto adeguatamente i loro figli, per fretta o per ignoranza, come si spalma il burro su una fetta di pane e come gli si spolvera su un po’ di zucchero, senza pulirsi la coscienza con qualcosa di veloce lì, incartato da una azienda più affamata del bambino, stivato nel mobile della cucina laccata.

Già, e volevate obbligarci, volevate romperci una testa che mille dr. Sholl non hanno minimante scalfito, volevate romperci le gambe che hanno superato interi campionati in cui si usciva dalle partite, addirittura, spettinati (altro che oggi).

Noi giocavano a pallone con l’ordine superiore della madre di non sudare, andavamo su biciclette a motore in maglietta e bermuda col portafoglio vuoto nella tasca dietro, e la pelle ce la siamo strappata via mille volte, che oggi l’unica paura che abbiamo è che gli altri ci prendano per vigliacchi.

Già, io racconto le emozioni, le sento e le rimescolo, le scrivo e ve le faccio rivivere, e vorrei essere capace di buttarle dentro ai cuori anche di chi non era lì con me a crescere con la voglia di correre, di saltare gli ostacoli, di stupirsi per ogni singola piccola cosa che la vita ci mette nelle mani.

Noi non obbediamo, noi siamo quelli che hanno la responsabilità di testimoniare chi sono, cosa sono e di che cosa sono fatti i veri uomini che non si nascondono dietro le bugie dei poveracci.

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