Le nubi nere all’orizzonte

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Era il 1991, il sedici gennaio, una vita fa, una vita molto più lenta, ma per la prima volta la guerra era in diretta radio/tv, ed io ascoltavo dal mio macinìno mentre andavo a lavorare.

Avevo vissuto tanti anni sotto l’incubo nucleare della guerra fredda, ma qui era diverso, qualcosa rendeva il tutto drammatico.

Supermercati assaltati dal solito gregge che credeva che gli Scud potessero distruggere l’Italia, e tutti i media che godevano nell’infondere terrore.

E allora si preparavano le contromosse, si installavano ovunque i Patriot, e la grancassa spettacolare continuava a suonare mentre l’esercito iracheno si arrendeva alle squadre della CNN senza quasi combattere.

Già allora la sensazione che qualcosa non quadrasse era forte, che la costruzione continua della paura fosse evidente, e questo malgrado fosse la prima volta in cui la guerra andasse in diretta, con le sue immagini che all’epoca nessuno metteva in discussione, coi volti pesti di Bellini e Cocciolone.

Paura, tensione, una storia che da lì in poi non si è più fermata, ed ogni giorno le nubi erano sempre più nere all’orizzonte.

E nulla importava se, come oggi, dopo pochi mesi dagli eventi si scopriva che il tutto era montato su un sacco di balle, che le armi chimiche non esistevano o che sarebbe bastata l’aspirina, perché via una paura ne arrivava un’altra.

Dai, andiamo a dare il premio Nobel a chi gioca con la paura e riempiamo le case di nuovi missili per difenderle dalla prossima paura.

L’importante è che le persone vedano sempre nuvole nere davanti a loro stesse.

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