Con che cuore scrivere dei papà, del papà che sono, o forse non sono, in un mondo che il papà lo festeggia, o forse no?
Ho pensato mille volte a perché un giorno volasti per un attimo su questa terra e poi mi lasciasti qui, ma oggi che vedo quali nubi l’orizzonte ci prospetta, mi chiedo se in quel mondo in cui il Padre apre gli occhi ai bambini non ci fosse già scritto tutto e ad ogni angioletto fosse stata lasciata la libertà di decidere se fare, oppure no, questo cammino.
Ed allora sono qui in un giorno in cui a me nessuno farà gli auguri, e magari comprendo chi si può sentire diverso perché padre non lo potrà essere mai, perché lo ha scelto, o perché è nato così.
L’uomo che può accettare di non poter procreare, ed anche di non poter più accarezzare il figlio che è volato via, a maggior ragione potrà vivere senza invidiare chi questo miracolo lo ha ricevuto, senza bisogno di mercificare quel rapporto, senza invidia nei suoi confronti.
E allora guardo il calendario e vedo arrivare questo giorno in cui metto giù poche righe da leggere quando il momento sarà passato, pensieri da genitore qualsiasi, da genitore numero, da uomo che proprio non sa cosa avrebbe fatto oggi per un ragazzo o una ragazza, che lo avesse chiamato padre.
Quali scelte, quali sacrifici, quali impegni?
Non lo so, non serve nemmeno che io lo sappia, ma se non posso fare niente per un figlio, posso fare molto per i padri che, mentre aprono un regalino, sanno che ai propri figli viene insegnata una ideologia che annulla quella figura paterna positiva, modello di vigilanza e provvidenza, che ogni essere umano ha come riferimento.
Non tutti potremo essere genitori, ma tutti siamo stati figli, con un padre ed una madre, con dei legami che si può far solo finta di cancellare o di non vedere.
