Il professore ed il cigno nero (un po’ blu)

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La giacca e la cravatta l’aveva anche il primo giorno in cui, senza battere ciglio, fece severo la prima domanda sulla luce in fondo al tunnel.

Ed il cigno, finanziariamente anatroccolesco, allungò il collo e vide più in là un orizzonte mai esplorato, pieno di cose nuove che avrebbero potuto nutrire tanti altri ingenui come lui. Ed allora si mise ad ascoltare con attenzione quella canzone così semplice da imparare a memoria.

Insieme a loro c’era il guardiano del futuro, pieno di vibrazioni, mine e paure, come quei cani che non dormono per la paura che gli rubino l’osso, e da dentro il suo tempio, non sapendo elargire consigli, faceva di tutto per dare il cattivo esempio, riuscendoci benissimo con la sua palla avvelenata.

Capitava raramente che il cigno fosse più veloce delle immagini, ma quel giorno fissò ogni fotogramma, ancora oggi fermi in quel favoloso strumento multifunzione che fa volare la carta dentro il cestino e dona i poteri del dio dei colori e dei suoni.

Esplose tutte le mine venne il tempo del silenzio, fino a quando il cigno decise di soddisfare le proprie voglie e, senza paura di probabili invettive, volò sul cielo della finanza facendo cadere sul professore, adesso ornato con il papillon, un bigliettino con scritto a mano, con penna e calamaio, una semplice domanda, per chiedere all’accademico se nella vita volesse essere originale o facoltoso, e se fosse disposto ad attendere fino ad un secondo prima dal fallimento senza desistere, senza impaurirsi.

E lì iniziò il teatro di Bocca di Rosa, dove ogni sacrestano con il cappello in mano voleva il professore al suo fianco in processione. Tutti interessati a che il sacro parlasse di profano, mentre il cigno, fermo in stazione, salutava chi per un poco portò l’amore nelle aule che, ad ogni fermata, si riempivano sempre più di emozioni e grafici.

E’ la passione di chi non disprezza un consiglio rubato come un fiore gettato dal treno in corsa, il dolore di chi incredibilmente non ha così niente, che in quei momenti sente di essere in paradiso senza mettersi a novanta gradi davanti a nessuno.

Eppure il professore ed il cigno non avevano l’immagine dei missionari, e senza vergogna urlavano che lo facevano per professione, per mangiare onestamente, ma c’era un filo sempre più forte che legava il loro mondo in cui sorrideva anche chi, fino a ieri, li credeva degli schifosi che mai avrebbero meritato il plauso di un essere umano.

E la fila cresceva fino a non vedere più la fine, con le parole che volavano sui social, piene di consigli da osso del cane, parole nel vento, il vento freddo che soffia oggi nei giorni dei 40 gradi all’ombra.

Ed ora che fare mentre in cielo il temporale urla i suoi tuoni, mentre l’ossigeno scarseggia sempre di più e la prossima primavera è solo poco più di un miraggio?

Il cigno nero sa che c’è un bene effimero che nessun disprezza, quella bellezza che taluni hanno in volto ed altri nello spirito, ed i più fortunati in entrambe le forme. Ora che non ci sono più mine su cui stare attenti a mettere i piedi ed in cui non è stata dimenticata la domanda scritta sul fogliettino, guarda avanti con il professore che, dopo un attimo di ristoro, girerà bella dritta la sua spilla, per iniziare un altro viaggio per fare le sue domande che danno quel coraggio necessario per abbracciarsi ancora.

Sono quelle questioni per cui, se sai rispondere, porti a casa la promozione nella vita, mentre dall’alto il cigno nero osserva tutto con tanta voglia di vedere sorrisi senza che nessuno possa accarezzare le sue piume.

Non so fino a che punto l’uomo potrà imparare a non fare male, e non so quando il vento si fermerà davanti alle sbarre, ma sono certo che il professore ed il cigno nero non hanno volato nello stesso cielo per un incidente del destino, perché per fare cose serie, per costruire sulle macerie, serve una connessione che dal filo d’erba più piccino arrivi alla galassia più splendente, quella che solo quel cigno sia in grado di percepire, per scrivere la domanda all’accademico che canta quando vuole e quando può e chiede di non comprare ciò che vende, diverso e uguale da quel mondo che da solo rappresenta come un dio, senza prezzo e senza mai giocare a vendere il didietro.

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