Cosa sono io davvero? E voi chi siete?

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Che cosa faccio di spontaneo, che cosa faccio di ciò che desidero veramente?

Me lo chiedo spesso, molto spesso, così spesso da non avere il tempo per darmi la risposta che conosco già e non voglio sentire.

E allora cosa serve pianificare, programmare, cercare di controllare un destino che dipende da un passato che poi non è ciò di cui io sono fatto veramente?

Quale delle mie menti ha ragione e mi spinge verso quello che solo chi ha ancora immaginazione può vedere e comprendere, mentre ogni giorno combatto con il bravo bambino che mi hanno insegnato ad essere e che deve avere paura dei giudizi degli altri, che deve fare “come tutti”.

Così soffro perché non mi sento realizzato in ciò che altri chiamano successo, mi sento deluso ogni volta che incontro chi avrebbe la possibilità di migliorarmi e poi scopro che piaceva solo agli altri.

Ed è proprio la mia lontananza dalle soluzioni degli altri che mi rende incomprensibile a chi sfuoca la punta del suo naso, a chi non fa la fatica per cercare un poco di coraggio per poter dire la propria, a chi si adegua perché gli effetti di ciò che sogna sono anche le sue paure, gli incubi di chi non vivrà mai il suo destino, ma quello piatto degli altri.

E non ho nessuna intenzione di attaccarmi agli oggetti che ho comprato perché mi piacevano o mi facevano sentire bene, non ho alcun desiderio di rifugiarmi negli hobby per anestetizzare un presente squallido, preferisco lasciare andare le cose perché confluiscano là dove è scritto che debbano andare, dove io potrò fare la mia voce grossa.

Mi dicono che sono immaturo, mi dicono che sono istintivo ed irruento, mi dicono che sono rimasto un bambino, e quanto vorrei urlare che ciò sia vero, che sia reale in me la magia che c’era in quell’adolescente che ascoltavo sognare davanti ad un calendario delle partite scritte a mano appeso sull’armadio, un binario col trenino che quando avrò i miei soldi compro la stazione, quel bambino che se le cose non andavano come inventava lui non erano belle.

Quel bambino che non capiva perché si sentiva solo.

Poi è sorto il sole e una gioia misteriosa si è diffusa dentro di me e mi ha allontanato dagli altri, sempre più consapevolmente unico, sempre più lontano dagli schemi della gente, senza nessuna esigenza di conoscermi, ma solo di vivere, con le mie mille espressioni in volto che compongono un quadro troppo dettagliato per i miopi, e che dove pensa di essere “come tutti” non sa per quale motivo sia venuto al mondo.

Ed oggi che vorrebbero che il mio volto si veda solo per metà, forse il mio messaggio diventa più comprensibile a quei tutti, con meno sfumature, meno espressioni, meno colori, ma non voglio che nessuno si accontenti di prendermi così, parzialmente me stesso, totalmente impegnato a vivere la vita degli altri.

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