L’ape non perde tempo a spiegare alla mosca che il nettare è più buono della merda

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Un’antichissima leggenda scritta su un papiro egizio racconta che quando il dio Sole, Ra, piangeva d’amore, le sue lacrime cadendo a terra si trasformavano in miele.

Fu così che le api costruirono la loro dimora, piena di fiori di ogni genere, tutto grazie alle lacrime di Ra.
Il miele è da sempre, e universalmente, parola evocatrice di dolcezza, fortemente legata all’amore, così che nell’indiano Rig Veda, il più antico testo religioso del mondo, il termine “madhu” significa sia “miele” che “donna”.

E, restando in India, il potentissimo dio indiano dell’amore Kama, è armato di un arco magico la cui corda è costituita da api, mentre da noi le frecce di Cupido, per fare effetto, dovevano essere prima immerse nel miele.

In inglese l’innamorato si rivolge alla sua bella chiamandola “honey“, miele, e non era raro per i miei nonni chiamare la amata “boccuccia di miele“.

E vai con la luna di miele, storie dolci ed innumerevoli proverbi, talvolta aspri perché troppa dolcezza non venisse scambiata per debolezza.

“Troppo miele fa inacidir lo stomaco“, vacci piano coi piaceri dicevano i latini, ma non mancava “Fatti di miele e ti mangeranno le mosche“.

Ed ecco che nella storia fanno capolino le mosche, quell’insetto di cui Dio non ci ha mai spiegato il motivo della creazione, e che potendo volare di fiore in fiore, preferisce posarsi un po’ più in basso.
Il mondo intero sa della dolcezza del miele, miliardi di api sanno che col nettare dei fiori si fa il miele, tutti lo sanno, ma malgrado i millenni siano passati l’evoluzione non è riuscita a far capire alle mosche che il nettare è più buono di ciò che essa mangia.

Non mancano le informazioni, tutto è chiaramente davanti agli occhi, è che al mondo ci sono specie a cui piace mangiare pupù perché qualcuno, o qualcosa, glielo ha insegnato.

Ed allora è inutile sperare che queste capiscano, è inutile sognare che si sveglino, perché sono così, irrimediabilmente programmate per finire ammazzate.

Ed allora, se è vero che non serve lavare la testa ad un asino, se è vero che tutti sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri, è anche vero che un’ape non perde tempo a spiegare ad una mosca che il nettare è più buono della merda.

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